“Vieni, Signore!” di P. Paolo Maria Gionta

Il tempo liturgico dell’Avvento è contrassegnato da un vivo sentimento di attesa, soprattutto nella sua parte finale allorché i testi (inni, letture bibliche, antifone, responsori e invocazioni) non fanno che dar forma e alimentare un’unica grande preghiera: Vieni, Signore!

In realtà sappiamo che Egli è già venuto e ha mutato il volto della storia umana, dando speranza a chi l’aveva perduta. Verrà ancora in questo mondo, ma alla fine dei tempi, quando inaugurerà “cieli nuovi e terra nuova”.

Qual è dunque il senso dell’Avvento e del Natale, celebrati tra una venuta già da tempo compiuta e un’altra da attendere al termine della storia? Prima di dare una risposta e fornire qualche elucidazione al riguardo, occorre fare due brevissime premesse. La prima: Dio chiede di essere riconosciuto e accolto nella fede, non volendo forzare la libertà umana con segni schiaccianti della sua potenza, ma aspettando pazientemente che l’uomo risponda al suo amore. La seconda: all’interno di tale “logica”, basata sulla proposta rispettosa e sull’invito all’adesione libera della creatura, si delinea la modalità concreta – stupefacente e, per qualcuno, scandalosa – con cui Dio solitamente sollecita ad aprirsi a Lui: attraverso la parola e la testimonianza di un altro. Ci sono – è vero – occasioni in cui Egli scuote prepotentemente qualcuno, strappandolo dalla sua incredulità o dalla sua cattiveria; ma, di norma, si serve di altre persone.

Possiamo ora finalmente esprimere qual è il significato dell’Avvento e del Natale: la comunità dei credenti in Gesù, ossia la Chiesa con la sua liturgia, ricordandoci che «il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio» (1Gv 5,20), intende farci sentire il bisogno di Lui, l’Unico che può dare risposta a tutte le domande dell’uomo e riempire di senso e gioia la sua vita. “Accendere il desiderio di Dio”; questo è il cuore, questo è il messaggio dei giorni che stiamo vivendo. Abbiamo bisogno di un tale messaggio? Qualcuno forse no, nella misura in cui già arde di quel desiderio e vive già nel caldo abbraccio di Dio. Tuttavia per la maggior parte di noi esso risuona quanto mai opportuno. Al fine di illustrare quanto appena asserito, immaginiamo tre situazioni per ognuna delle quali daremo un suggerimento.

Tanti di noi sentono poco o non sentono affatto il desiderio di Dio e del suo amore; sono, almeno apparentemente, soddisfatti delle tante piccole cose da cui sono circondati e non percepiscono la sete di Chi di tutte queste cose è l’origine e il fine. Per loro, un consiglio: sostare ogni giorno in silenzio per qualche minuto, scendendo dentro se stessi per captare gli autentici bisogni che vi albergano; è nell’intimo del cuore che Dio abita e può essere incontrato.

Può darsi pure che, in questo periodo, ci portiamo addosso una grossa preoccupazione o stiamo vivendo una situazione di grande dolore. In circostanze simili, l’annuncio natalizio del Dio fattosi in Gesù vicino all’uomo rischia di sfiorarci appena, lasciando intatta la nostra angoscia. Ma Cristo è venuto e viene precisamente per raggiungerci là dove siamo, fosse pure nella condizione più nera e disperata, e per darci la certezza: «Sono con te. Coraggio!».

Distratti, angustiati… ma alcuni potrebbero essere anche malati; malati – voglio dire – nello spirito. A chi si sente cattivo, sporco, lontano da Dio e senza Dio, possiamo dare la notizia sconvolgente: «Dio è più grande del male che è in te; la sua misericordia può annientare il tuo peccato; la sua tenerezza può piegare ogni tua durezza». Glielo si può dire senza paura di sbagliare dal momento che si tratta di un Dio arrivato al punto di aver «tanto amato il mondo da mandare il Figlio unigenito» (Gv 3,16), di un Dio così tenero da essersi mostrato sotto l’aspetto di un bambino, di un Dio così pieno di amore da aver dato se stesso per me.

d. Paolo Maria Gionta

Benedettini Sublacensi

Abbazia dei SS. Pietro e Andrea

NOVALESA

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