Evangelii Gaudium – Capitolo Secondo – Don Sergio Blandino

Il secondo Capitolo dell’esortazione Apostolica

NELLA CRISI DELL’IMPEGNO COMUNITARIO

Don Sergio Blandino

[SCARICA PDF] Esortazione Apostolica – Evangelii Gaudium ITALIANO

Raccolta – Evangelii Gaudium – Diocesi di Susa

Evangelii Gaudium: guida alla lettura 2 di Christian Albini

in “Sperare per tutti” (http://sperarepertutti.typepad.com) del 7 dicembre 2013

La chiesa non può essere auto-referenziale, è “chiesa in uscita” (cfr. EG 24), perché la Parola di Dio
chiama il credente, lo manda verso terre nuove, lo sprona ad andare verso l’altro (cfr. Gn 12,1-3; Es3,10; Ger 1,7).

Dopo la sezione introduttiva, che presenta in un certo senso lo sfondo del suo programma pastorale,
l’Evangelii Gaudium affronta in cinque capitoli alcune delle questioni più rilevanti per
l’evangelizzazione oggi. La prima è quella di una trasformazione missionaria, la quale comporta
una vera e propria riforma della chiesa (EG 19-49).

L’approccio di papa Francesco può essere spiegato ricorrendo alla categoria dello stile, studiata
dalla riflessione teologica di Christoph Theobald, tra i principali interpreti del Vaticano II. Lo stile,
a grandi linee, è la corrispondenza tra la forma e il contenuto. Perciò, una pastorale di
evangelizzazione che assume una determinata fisionomia richiede, per realizzarsi, un volto di chiesa
coerente con essa. È la medesima questione sottesa all’interpretazione del Vaticano II, il quale è
stato un concilio pastorale e non convocato per definire delle dottrine. Per questo si è tentato di
sminuirne l’importanza. Invece, la presa di coscienza di un nuovo rapporto tra la chiesa e il mondo
contemporaneo, all’insegna del dialogo e dello scambio, piuttosto che dell’estraneità e della
contrapposizione, implica anche una rinnovata comprensione della dottrina cattolica.
È importante identificare i riferimenti della conversione missionaria prospettata dal papa. Il più
prossimo è il documento della conferenza dell’episcopato latinoamericano ad Aparecida nel 2007,
ma il fondamento è costituito dalla visione di chiesa elaborata da Paolo VI a partire dall’enciclica
Ecclesiam suam e sviluppata dal Vaticano II. Massimo Faggioli ha parlato di «riabilitazione
pubblica di un magistero conciliare e post-conciliare».

Tornando al testo dell’esortazione, la missione è l’effetto della gioia del Vangelo che vuole
comunicarsi. Non alla maniera del proselitismo, ma di una diffusione di sé che è farsi prossimo,
coinvolgimento con chi si incontra alla maniera del Signore. «Gesù ha lavato i piedi ai suoi
discepoli. Il Signore si coinvolge e coinvolge i suoi, mettendosi in ginocchio davanti agli altri per
lavarli. Ma subito dopo dice ai discepoli: “Sarete beati se farete questo” (Gv 13,17). La comunità
evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le
distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne
sofferente di Cristo nel popolo. Gli evangelizzatori hanno così “odore di pecore” e queste ascoltano
la loro voce. Quindi, la comunità evangelizzatrice si dispone ad “accompagnare”. Accompagna
l’umanità in tutti i suoi processi, per quando duri e prolungati possano essere. Conosce le lunghe
attese e la sopportazione apostolica. L’evangelizzazione usa molta pazienza, ed evita di tenere conto
dei limiti» (EG 24).

Non è una posizione ideologica o l’adeguamento a una moda. È lo stile di Gesù nel suo relazionarsi
alle persone e accogliendole con le loro fatiche e i loro peccati, senza la pretesa di separare subito il
grano dalla zizzania, con il rischio di perdere l’uno con l’altra. Così i cristiani non devono avere
l’ansia di etichettare e giudicare le persone, bensì lasciare loro la possibilità della crescita, della
piena maturazione. Devono anzi incoraggiarla.

Affinché questo avvenga, tutta la chiesa deve approfondire la coscienza di se stessa per riconoscere
che c’è una differenza tra come il Signore la sogna e la sua realtà storica: da qui scaturisce il
bisogno di una riforma perenne dell’istituzione ecclesiale, che nasce dall’esigenza di fedeltà a
Cristo e alla propria vocazione (cfr. EG 26; Paolo VI, Ecclesiam suam 10; Concilio Vaticano II,
Unitatis redintegratio 6).

Il rinnovamento è ritenuto improrogabile da papa Francesco e dovrebbe trasformare ogni aspetto
della vita ecclesiale (consuetudini, stili, orari, linguaggi, strutture…) in senso missionario, in vista
di una pastorale più espansiva e aperta (cfr. EG 29).

Il punto di partenza è la parrocchia, che rimane la “prima linea” della missione, in quanto chiesa tra
le case degli uomini (cfr. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 26), a patto che sappia assumere
con plasticità forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività del pastore e della
comunità (cfr. EG 28). Bergoglio riconosce che il rinnovamento delle parrocchie è uno dei capitoli
inattuati della riflessione ecclesiale recente. Per definire le parrocchie, egli ricorre alla terminologia
delle “comunità di comunità”, ma a indicare che non devono essere grandi strutture anonime, ma
comunione di realtà diversificate e vive, dove si sperimentano rapporti ravvicinati, si condivide il
quotidiano e la ricerca di fede, si vive la fraternità.

In questo discorso s’inserisce il riferimento ai movimenti, ridimensionati rispetto all’enfasi di altri
pronunciamenti, insieme ad associazioni e comunità di base, la cui originalità è vista in funzione
dell’integrazione nella realtà parrocchiale e non per costituirsi come realtà parziali e separate (cfr.
EG 29).

L’appello al rinnovamento è esteso alle diocesi e ai loro vescovi. A questi ultimi, in particolare,
l’invito è a valorizzazione gli organismi di partecipazione e altre forme di dialogo per esercitare il
proprio ministero di guida e sintesi a partire dall’ascolto di tutti e non da un assenso servile (cfr. EG
31).
Neppure il papato è esentato dal rinnovamento e qui abbiamo il fatto insolito di un pontefice che
chiede suggerimenti al riguardo. Viene così recuperata la richiesta inevasa di Giovanni Paolo II di
ripensare la forma di esercizio del ministero petrino (cfr. Ut unum sint, 95). L’enciclica si riferiva
all’ecumenismo, ma implica, e l’esortazione lo specifica, di dare corpo alla collegialità stabilita
dalla Lumen gentium: non il papa da solo, come un monarca, ma il papa insieme ai vescovi e alle
conferenze episcopali, intese come veri e propri soggetti ecclesiali dotati anche di una qualche
autorità dottrinale (cfr. EG 32). Questa potrebbe essere una reale decentralizzazione che darebbe
corpo al pluralismo di una chiesa mondiale unita nella fede.

L’esortazione non offre indicazioni molto dettagliate per il rinnovamento, proprio perché intende
attivare la corresponsabilità audace e creativa dei battezzati a tutti i livelli e non dettare ogni
decisione dall’alto (cfr. EG 33).

Ciò che conta, vale la pena di ribadirlo, è assumere lo stile evangelico. Il che per Bergoglio significa
anche un annuncio che non si fissa su aspetti secondari, senza manifestare il cuore del messaggio di
Gesù. «Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di
una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere. Quando si assume una
pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni,
l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso
tempo più necessario» (EG 35). Richiamando il Vaticano II e ancora prima Tommaso d’Aquino, il
papa ricorda che c’è una gerarchia delle verità in campo sia dogmatico sia morale, per cui va
evidenziato quel che è centrale e dà significato a tutto il resto.

«Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e ci salva, riconoscendolo negli altri
e uscendo da se stessi per ricercare il bene di tutti. Quest’invito non va oscurato in nessuna
circostanza!» (EG 39). Il centro è la fiducia nell’amore di Dio per noi che ci rende capaci di amare e
ci salva.

È detto per chi riduce l’annuncio cristiano a messaggio etico e ne fa metro per giudicare gli altri; è
detto per chi sbandiera la propria ortodossia, ma dice parole cristiane senza Cristo riducendole a un
falso Dio o a un ideale umano. «In tal modo siamo fedeli a una formulazione ma non trasmettiamo
la sostanza» (EG 41).

Il Vangelo deve parlare oggi. La ricerca delle modalità di comunicare l’essenziale in un mondo che
cambia richiede di armonizzare una varietà di visioni teologiche e pastorali, più che la difesa senza
sfumature di una dottrina monolitica (cfr. EG 40). Tutto ciò incoraggia ad abbandonare norme e
precetti non essenziali e non incisivi nel nostro tempo (cfr. EG 43), così da tenere conto della
condizione reale delle persone su cui non si possono esercitare forme d’ingerenza spirituale. «Un
piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente
corretta di chi trascorre i suoi giorni senza importanti difficoltà» (EG 44).

È una chiesa aperta, quella evocata dal documento, che invita a entrare e accoglie. «Tutti possono
partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità, e nemmeno
le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi» (EG 47). Vale in
particolare per il Battesimo e l’Eucaristia che non sono riservati a una ristretta cerchia di perfetti,
ma sono dono, cibo, medicina, sostegno… Una chiesa così privilegia i poveri, gli infermi, i
disprezzati e li cerca anche a costo di essere accidentata e ferita, piuttosto che rinchiudersi nelle
proprie sicurezza e nei propri procedimenti. «Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiudersi nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli» (EG 4)

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